Messa in sicurezza edifici: guida agli interventi strutturali

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La messa in sicurezza edifici è un tema di cruciale importanza nel panorama italiano, un territorio caratterizzato da un patrimonio edilizio tanto vasto e prezioso quanto, in molti casi, datato e vulnerabile ai rischi sismici e idrogeologici. Intervenire per garantire la stabilità e la resilienza delle nostre abitazioni, degli uffici e dei monumenti non è solo un obbligo normativo, ma un atto di responsabilità civile per proteggere le vite umane e preservare il valore economico e culturale dei nostri immobili.

Affrontare un percorso di messa in sicurezza richiede un approccio multidisciplinare, che parte da un’accurata diagnosi e arriva alla scelta delle tecnologie più appropriate. In questo articolo, analizzeremo le fasi fondamentali del processo, dalle indagini preliminari alle più moderne tecniche di intervento, esploreremo il quadro normativo di riferimento e metteremo in luce gli errori più frequenti da cui guardarsi.

Ecco i temi che tratteremo:

  • La fase diagnostica: conoscere per proteggere
  • Le principali tecniche di consolidamento strutturale
  • L’adeguamento sismico e l’importanza degli elementi non strutturali
  • Errori comuni e l’approccio progettuale integrato

La fase diagnostica: conoscere per proteggere

Ogni intervento efficace di messa in sicurezza edifici deve obbligatoriamente iniziare con una fase di diagnosi approfondita. Agire senza una conoscenza precisa dello stato di fatto dell’immobile è il primo e più grave errore che si possa commettere. Questa analisi preliminare, condotta da tecnici specializzati, si articola in più passaggi.

Si parte dal reperimento della documentazione storica e di progetto per ricostruire la storia dell’edificio e le sue eventuali trasformazioni. Segue un’ispezione visiva dettagliata per identificare i quadri fessurativi, i degradi dei materiali e i possibili cinematismi in atto. A questa si affiancano indagini strumentali non invasive o moderatamente invasive, come la pacometria per mappare le armature nel calcestruzzo, la termografia per individuare discontinuità murarie o umidità, e le prove soniche per valutare la qualità delle murature.

L’obiettivo è costruire un “modello di comportamento” dell’edificio che permetta di simulare la sua risposta alle sollecitazioni, in particolare a quelle sismiche, e di identificare con precisione le vulnerabilità su cui è necessario intervenire.

Le principali tecniche di consolidamento strutturale

Una volta completata la diagnosi e definito il progetto, si passa alla scelta delle tecnologie di intervento più adatte. Le opzioni per il consolidamento sono molteplici e variano in base al materiale costruttivo (muratura, cemento armato, legno) e al tipo di vulnerabilità.

Per le strutture in muratura, sono diffuse tecniche come le iniezioni di miscele leganti per ricompattare il nucleo murario, l’applicazione di intonaci armati (betoncino armato o con reti in materiali compositi come l’FRP – Fibre-Reinforced Polymers) per aumentare la resistenza e la duttilità delle pareti, o l’inserimento di tiranti metallici per contrastare le spinte di archi e volte.

Negli edifici in cemento armato, gli interventi più comuni includono l’incamiciatura di pilastri e travi con calcestruzzo o acciaio (beton plaqué) e, sempre più spesso, il rinforzo con tessuti e lamine in fibra di carbonio, una soluzione leggera, resistente e a basso impatto invasivo. La scelta della tecnica non deve mai essere standardizzata, ma attentamente calibrata sulle specifiche esigenze della struttura.

Messa in sicurezza edifici: l’adeguamento sismico

In un paese come l’Italia, la messa in sicurezza edifici è quasi sempre sinonimo di miglioramento o adeguamento sismico. Le Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC 2018) definiscono precisi livelli di sicurezza da raggiungere. L’adeguamento sismico è l’intervento più completo e si prefigge di rendere la struttura capace di resistere all’azione sismica di progetto, come se fosse un edificio nuovo; il miglioramento sismico, invece, è volto ad aumentare il livello di sicurezza esistente, pur senza raggiungere necessariamente i massimi standard. Tuttavia, un errore comune è concentrarsi unicamente sugli elementi portanti (travi, pilastri, muri).

Come evidenziato da numerosi studi post-sisma, il collasso di elementi “non strutturali” rappresenta una grave fonte di pericolo per le persone e può causare danni economici ingenti. Tramezzi, controsoffitti, impianti, facciate e cornicioni, se non adeguatamente ancorati alla struttura principale, possono crollare durante un terremoto. Un progetto di sicurezza completo deve quindi prevedere anche la verifica e il consolidamento di questi componenti, garantendo una protezione globale dell’edificio e dei suoi occupanti.

Approccio progettuale integrato

Affrontare un intervento di consolidamento in modo superficiale può portare a risultati inefficaci o addirittura dannosi. Uno degli errori più insidiosi, come sottolinea il Consiglio Nazionale degli Ingegneri in diverse pubblicazioni, è quello di creare un “eccesso di rigidezza” in alcune parti dell’edificio, trascurandone altre. Rinforzare un singolo elemento senza considerare come questo modificherà il comportamento globale della struttura può spostare le vulnerabilità altrove, innescando nuovi meccanismi di collasso.

Un altro sbaglio frequente è sottovalutare la compatibilità chimico-fisica tra i materiali nuovi e quelli esistenti. Per questo, un approccio progettuale integrato è l’unica via percorribile. Il progetto deve considerare l’edificio come un organismo unitario, bilanciando attentamente rigidezza e resistenza, e garantendo che ogni intervento sia compatibile con la natura storica e materica della costruzione.

Affidarsi a un team di professionisti con competenze diverse (ingegneri strutturisti, architetti, geologi) e investire in una diagnosi accurata non è un costo, ma il miglior investimento per garantire una reale e duratura messa in sicurezza dell’edificio.

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